Orazio Olivieri, La Civetta e la Luna, Aulla, Mori Editore, 2004
Le Statue Stele della Val di Magra sono, da quasi due secoli, sempre sotto i riflettori e oggetto di continuo interesse, sia da parte degli addetti ai lavori sia da parte dei profani. Ogni nuovo ritrovamento è vissuto come un evento e, in quanto tale, riceve una buona pubblicità mediatica, che sempre più alimenta la curiosità delle folle e, ogni tanto, anche di qualche studioso!
Diciamo così perché, in effetti, è proprio dalla parte degli addetti ai lavori che viene uno sconcertante silenzio che si prolunga ormai da qualche anno e, oltre alle fantasiose speculazioni popolari che si possono contare numerose soprattutto su blog e siti internet, sembra che ci sia una stasi totale nell’interpretazione del significato delle statue stele. L’ultimo contributo veramente significativo, infatti, risale al 1990, quando fu pubblicato un interessantissimo compendio in due volumi di Romolo Formentini, il quale vi esponeva alcune sue teorie, risultato di anni di ricerche in questo campo, che erano letteralmente pece greca per il cauto e incerto panorama accademico di allora. Il risultato infatti fu che, nonostante presentazioni ufficiali a livello europeo, il Formentini ricevette soltanto una debole solidarietà da qualche professore dell’est Europa, con il quale egli aveva collaborato. Per il resto solo silenzio e il timore che questo silenzio sarebbe durato in eterno.
Fortunatamente, invece, Mori Editore di Aulla ha pubblicato un originale studio di Orazio Olivieri, intitolato La Civetta e la Luna, in cui l’autore espone una sua interpretazione al fenomeno delle statue stele, inserendole come d’obbligo nell’ampio panorama della statuaria votiva europea e trovando significativi collegamenti che rinforzano la sua tesi.
Con grande umiltà e con capacità narrativa, l’autore ci trasporta attraverso l’Antica Europa, attraverso i culti incredibilmente simili tra loro di una dea-civetta primitiva, che daranno luogo in seguito a ben più note divinità mediterranee, quali Atena/Minerva, Tanit, Astarte, Ishtar/Innanna. Le belle e competenti illustrazioni a tutta pagina di Maria Pia Binazzi ci permettono di verificare, di toccare con mano le somiglianze e le differenze tra le statue stele europee, attraverso un viaggio che dura più di tre millenni, le cui linee guida sono sempre la civetta e la luna.
La civetta e la luna, collegate tra loro da un legame magico oltre che naturale (e, a volte, magico in quanto naturale), sono simbologie che troviamo oscuramente accennate anche sulle statue stele, nei tratti stilizzati dei volti detti appunto “a civetta” delle stele di gruppo A e nella forma a mezzaluna delle stele gruppo B, quelle volgarmente dette “a cappello di carabiniere”.
Può essere quindi che un antichissimo culto della civetta e della luna sia approdato anche in Lunigiana, dopo aver attraversato il Mediterraneo ed aver affascinato molti popoli? Orazio Olivieri non pretende di dare certezze che, ad oggi, nessuno potrebbe dare, ma si accontenta di proporre un’ipotesi, ben conscio dell’impossibilità attuale di dimostrarla anche se, non per questo, meno sicuro della sua bontà. L’interpretazione di Olivieri, infatti, appare affascinantemente verosimile e, cosa importante, sembra integrarsi bene con le ipotesi, seppur differenti, che il Formentini formulò ormai vent’anni fa. Forse, come si suol dire, la verità sta nel mezzo.
Diciamo così perché, in effetti, è proprio dalla parte degli addetti ai lavori che viene uno sconcertante silenzio che si prolunga ormai da qualche anno e, oltre alle fantasiose speculazioni popolari che si possono contare numerose soprattutto su blog e siti internet, sembra che ci sia una stasi totale nell’interpretazione del significato delle statue stele. L’ultimo contributo veramente significativo, infatti, risale al 1990, quando fu pubblicato un interessantissimo compendio in due volumi di Romolo Formentini, il quale vi esponeva alcune sue teorie, risultato di anni di ricerche in questo campo, che erano letteralmente pece greca per il cauto e incerto panorama accademico di allora. Il risultato infatti fu che, nonostante presentazioni ufficiali a livello europeo, il Formentini ricevette soltanto una debole solidarietà da qualche professore dell’est Europa, con il quale egli aveva collaborato. Per il resto solo silenzio e il timore che questo silenzio sarebbe durato in eterno.
Fortunatamente, invece, Mori Editore di Aulla ha pubblicato un originale studio di Orazio Olivieri, intitolato La Civetta e la Luna, in cui l’autore espone una sua interpretazione al fenomeno delle statue stele, inserendole come d’obbligo nell’ampio panorama della statuaria votiva europea e trovando significativi collegamenti che rinforzano la sua tesi.
Con grande umiltà e con capacità narrativa, l’autore ci trasporta attraverso l’Antica Europa, attraverso i culti incredibilmente simili tra loro di una dea-civetta primitiva, che daranno luogo in seguito a ben più note divinità mediterranee, quali Atena/Minerva, Tanit, Astarte, Ishtar/Innanna. Le belle e competenti illustrazioni a tutta pagina di Maria Pia Binazzi ci permettono di verificare, di toccare con mano le somiglianze e le differenze tra le statue stele europee, attraverso un viaggio che dura più di tre millenni, le cui linee guida sono sempre la civetta e la luna.
La civetta e la luna, collegate tra loro da un legame magico oltre che naturale (e, a volte, magico in quanto naturale), sono simbologie che troviamo oscuramente accennate anche sulle statue stele, nei tratti stilizzati dei volti detti appunto “a civetta” delle stele di gruppo A e nella forma a mezzaluna delle stele gruppo B, quelle volgarmente dette “a cappello di carabiniere”.
Può essere quindi che un antichissimo culto della civetta e della luna sia approdato anche in Lunigiana, dopo aver attraversato il Mediterraneo ed aver affascinato molti popoli? Orazio Olivieri non pretende di dare certezze che, ad oggi, nessuno potrebbe dare, ma si accontenta di proporre un’ipotesi, ben conscio dell’impossibilità attuale di dimostrarla anche se, non per questo, meno sicuro della sua bontà. L’interpretazione di Olivieri, infatti, appare affascinantemente verosimile e, cosa importante, sembra integrarsi bene con le ipotesi, seppur differenti, che il Formentini formulò ormai vent’anni fa. Forse, come si suol dire, la verità sta nel mezzo.
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