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lunedì 20 dicembre 2010

Antichi luoghi di Culto in Liguria 6

Sulla strada per Beverone: La Madonna dell’Ulivo
L’antica mulattiera che, dipartendosi dalla piana alluvionale di Brugnato, sale ripida fino al monte Beverone, "tetto" della media e bassa Val di Vara, era un itinerario di sicura importanza nel passato. Era, infatti, la più rapida via di collegamento tra il territorio dello Zignago e il bivio, situato probabilmente presso il letto del Vara, che permetteva di scegliere se proseguire verso sud fino al mare oppure di svoltare sulla via romea in direzione della Lunigiana o del Genovesato. Questo già quando ancora non esisteva Brugnato e il fiume non aveva riempito di detriti la valle fino a farla diventare la fertile pianura che oggi conosciamo.
A soli due chilometri da Brugnato, su questo antico percorso, ormai caduto in disuso, sorge un modesto santuario, che la storia vuole eretto dai monaci del vicino convento di San Colombano per officiare le funzioni durante i lavori di restauro della loro chiesa.
Si tratta della "Madonna dell’Ulivo", oratorio di pietra intonacata ad unica navata, senza orpelli o fregi degni di nota. Anche in questo caso, la leggenda sostiene che un quadretto ligneo raffigurante la Madonna con bambino fosse stato rinvenuto tra i rami di un ulivo e, dato l’evento considerato miracoloso, fosse stata costruita la cappella.
Oltre alla consueta formula del racconto di apparizione di cui, in questo caso, è rimasto solo il nucleo, riscontriamo che il santuario si trova, come tutti gli altri descritti finora, in prossimità di una via di comunicazione importante, per cui è del tutto probabile che si trattasse di un luogo sacro ai pagani, che sarebbe stato convertito.
In effetti, anche la storia dei monaci che lo edificano in sostituzione del loro oratorio, chiuso per lavori, non è molto credibile. Il convento, infatti, per quanto vicino, si trova comunque a quattro chilometri, dalla parte opposta della vallata ed è piuttosto inverosimile che i monaci abbiano scelto un sito non velocemente raggiungibile né per la costruzione né per la frequentazione.
È più probabile, invece, che la Madonna dell’Ulivo sia stata eretta sul luogo in cui i viandanti pagani, che seguivano la strada verso Zignago, si fermavano a venerare un idolo naturalistico o agrario, forse legato proprio all’ulivo (come per il Santuario di Roverano), alla stregua di una maestà contemporanea che, in un punto particolarmente faticoso del percorso, protegge il pellegrino e lo incoraggia a proseguire.
L’ulivo è uno dei tanti simboli precristiani che il cristianesimo ha fatto suoi e non sorprende il fatto che la Vergine scelga proprio tale albero per la sua apparizione.

venerdì 12 novembre 2010

Antichi luoghi di culto in Liguria 3


Il santuario mariano di Roverano, presso Carrodano
 
Si tratta di uno dei santuari più antichi della Liguria orientale, fondato intorno al 1350, con una storia che è, più che altro, leggenda.
Tale storia ricalca uno schema narrativo utilizzato spessissimo nei racconti di apparizioni mariane, il cui significato esamineremo in seguito.
Il 7 settembre di un anno imprecisato (si dice tra il 1350 e il 1352), due pastorelle, di cui una sordomuta dalla nascita, stavano riposando sotto un ulivo sul monte Roverano, non distante dal piccolo borgo di L’Ago.
Improvvisamente, apparve loro una bellissima signora vestita di azzuro, ovviamente la Madonna che, apostrofando la ragazzina muta, la invitò ad andare a chiamare il parroco di L’Ago e condurlo al suo cospetto. Inutile dire che la pastorella acquistò miracolosamente voce e udito e si recò a chiamare il parroco il quale accorse, insieme a metà della popolazione del borgo, entusiasticamente per vedere la Vergine. Ma la bella signora era già scomparsa.
Da un ulivo, però, pendeva un quadro raffigurante la Madonna col Bambino. Il parroco decise di portarlo nella canonica per sistemarlo, in seguito, nella chiesa paesana ma, il mattino dopo, il dipinto non era più dove l’aveva lasciato e, solo dopo lunghe ricerche, venne rinvenuto sul monte Roverano, appeso al medesimo ulivo del giorno prima.
Fu chiaro, quindi, che era in quel luogo che la Vergine voleva essere venerata e venne subito eretta una cappella che fu poi ampliata varie volte fino alla disposizione attuale, del 1875(1).
Ma c’è anche un altro evento miracoloso che, al contrario dell’apparizione, si ripete tutti gli anni, proprio il 7/8 settembre, durante i festeggiamenti che coinvolgono gli abitanti di L’Ago e Termine: la fioritura eccezionale degli ulivi.
Si dice, infatti, che gli ulivi che circondano il santuario fioriscano miracolosamente durante la processione, completamente fuori stagione.
Quest’ultima tradizione è molto significativa poiché ci permette di fare un’ipotesi interpretativa dell’intera leggenda.
Innanzitutto, la ricorrenza dell’apparizione cade il 7/8 settembre (come la processione al monte Dragnone), data che, secondo il calendario gregoriano, corrisponde alla Natività di Maria e, secondo il costume agricolo, segna la fine dell’estate e dei raccolti.
È del tutto probabile, come abbiamo riscontrato in precedenza, che la Chiesa Cattolica abbia sovrapposto il culto mariano alle festività pagane, per cui la celebrazione della Natività di Maria potrebbe essere stata programmata proprio in quella data per sostituirsi ad un evento rituale precedente, magari di tipo agrario.
La coincidenza di tale periodo con la fine dei raccolti, infatti, sembra un buon indizio in questo senso. Feste agrarie simili sono state celebrate fin dagli albori dell’agricoltura, per cui non sembra strano che i liguri del XIV secolo abbiano voluto la Madonna come nume tutelare di questo particolare momento in cui tutto diventa più precario, si va verso l’inverno e solo il duro lavoro estivo-autunnale può garantire la sufficienza di cibo conservato, nei mesi freddi.
Come già detto per le altre leggende esaminate fin qui, anche questa “Madonna di Roverano” potrebbe essere solo un aggiustamento cristiano di una divinità agreste molto più antica, una grande madre della fertilità, personificazione della terra stessa, che veniva venerata forse nel tentativo di allungare di qualche tempo l’abbondanza della messe oppure, più verosimilmente, come buon auspicio per la primavera successiva in cui la natura, memore della devozione autunnale degli uomini, sarebbe stata generosa nel donare i suoi frutti.
In questo contesto, sembra inserirsi coerentemente la “fioritura miracolosa” degli ulivi che potrebbe essere stata introdotta in tempi lontani, inizialmente come ritualità di tipo simbolico.
Non una reale fioritura ma, forse, un evento in cui i rami di alcuni alberi venivano decorati con rappresentazioni floreali. Oppure i fiori potevano essere dipinti o marchiati sul corpo con colori naturali, tramite stampi, simili alle pintaderas preistoriche.
Tale pratica potrebbe avere avuto lo scopo di “ringraziare” la terra per quanto dato, e “invitarla” a fare altrettanto l’anno successivo, al suo risveglio dal sonno improduttivo dell’inverno.
Questa tradizione potrebbe tranquillamente essere giunta, neanche tanto distorta, fino a noi e, in seguito, collegata al culto della Madonna.
Inoltre, ricordiamo che il fiore può considerarsi, generalmente, un simbolo solare e, quindi, avere una valenza in più nella cultura agricola, in quanto il sole è la conditio sine qua non della crescita delle coltivazioni. Incisioni raffiguranti forme solari al limite del floreale sono state rinvenute, in grande quantità, in tutti i siti rupestri della Liguria.
Notiamo, infine, come il fiore sia collegato per similitudine alla farfalla, simbolo dell’anima slegata dal corpo e, quindi, dello spirito dei defunti.
Ritornando al santuario, comunque, riscontriamo che il toponimo “Roverano” deriva dal latino robur, con il significato di “forza” o “robustezza” ma anche di “quercia”. La rovere, il più famoso tipo di quercia, prende nome proprio da questa radice.
È possibile allora collegare nuovamente il monte Roverano con i culti naturalistici, questa volta dal punto di vista arboreo. La simbologia dell’albero, di cui abbiamo parlato brevemente in precedenza, è, oltre quella di asse del mondo, quella di identificazione con l’uomo. L’albero, come l’uomo, è fatto di un tronco portante, attaccato alla terra con i suoi piedi/radici, che si espande nelle tre dimensioni grazie ai suoi rami, le braccia.
Il monte Roverano è un passaggio obbligato per raggiungere il Passo del Bracco e, quindi, sito su una via di comunicazione importantissima anche nell’antichità. Non è improbabile che fosse un luogo di culto di una certa importanza e che la devozione dei valligiani pre-romani, difficile da estirpare, sia stata “giustificata” dall’apparizione della Madonna che avrebbe, in un certo senso, consacrato uno spazio profano e ne avrebbe resa, quindi, tollerabile la frequentazione.
È probabile che i liguri di oggi, senza nemmeno saperlo, stiano frequentando i luoghi spirituali dell’antichità, così come hanno fatto i loro padri e i loro nonni prima di loro, in una continuità fluida che, seppur cambiando gli oggetti di venerazione, ricalca una spinta spontanea verso certe mete, oppure una tradizione talmente potente da non riuscire ad estinguersi, nonostante i millenni.

Note:
(1) F. M. Bussetti, G. Costa Maura, I Santuari della Liguria, Genova, AGIS, 1980; M. Gamba, Apparizioni Mariane, Udine, Edizioni Segno, 1999


La facciata del Santuario dopo gli ultimi restauri


Il dipinto raffigurante la Vergine con Bambino

sabato 30 ottobre 2010

Antichi luoghi di culto in Liguria 1


L’antica chiesa del S.S. Salvatore di Ortara a Ripalta
di Jonathan Ferroni

Ripalta è un minuscolo paese di venticinque anime sito sulla cima di un colle che fa da spartiacque tra la Val di Vara, là dove i detriti del fiume hanno formato la piccola piana su cui sorgono Borghetto Vara e Brugnato, e le valli del torrente Cassana.
Della storia di questo borgo non si sa molto: è stato fondato prima dell’anno mille, verosimilmente nella prima metà del X secolo e, probabilmente, i suoi abitanti hanno in seguito fondato Borghetto, nel letto del torrente. Sulla cima della collina sorgeva un importante castrum, già proprietà dei Fieschi e dei Malaspina, di cui si è persa quasi ogni traccia, tranne alcuni muri a secco, ormai ridotti al calcio e una vaga memoria orale.
Tuttavia il villaggio si trova su un fondamentale crocevia tra due antiche strade. Quella, in direzione EO che collegava il golfo della Spezia con il passo del Bracco e il genovesato e quella, in direzione NS, che collegava la Foce del Bardellone - e quindi Levanto, Bonassola e le Cinque Terre - al passo dei Casoni e, da lì, al parmense e al piacentino.
Quest’ultima è stata frequentatissima dall’epoca pre-romana fino ai primi del ‘900, poiché costituiva una delle più importanti arterie commerciali dal mare all’entroterra (sale, olio, vino, ecc.). Inoltre, questa antica via si snodava tra alcuni dei più importanti centri antropici preistorici della Val di Vara: il castellaro del Bardellone, il castellaro di Pignone e quello di Cassana, passando per la Val Marveia, luogo di ritrovamento di petroglifi e lavorazioni rupestri, per arrivare, infine, nella zona del Monte Dragnone di Zignago, famoso per il ritrovamento dell’omonima statua-stele e importante per la presenza di un castellaro e di un santuario.
Doveva, quindi, trattarsi di un percorso significativo per le genti preistoriche, i cui discendenti di epoca storica hanno lentamente tramutato i villaggi rupestri e i castellari in borghi popolosi e grandi castelli che hanno visto il massimo splendore nel medioevo, come per esempio il castello di Celasco, che recentemente è stato localizzato in vetta al monte Bardellone, poco distante dall’omonimo insediamento preistorico(1).
Per quanto riguarda l’altro percorso, si tratta dell’antica via romea che dal genovesato, attraverso il passo del Bracco, si congiungeva probabilmente con la via Francigena nella Val di Magra. Tuttavia, il percorso romanico ricalcava, almeno in parte, un itinerario verosimilmente molto più antico, che costituiva la direttrice principale dal golfo ai monti, risalendo il corso naturale del Vara.
Ebbene, Ripalta si trova al crocevia tra questi due itinerari preistorici per cui, seppur sia troppo azzardato ipotizzare la presenza di un castellaro sul quale si sarebbe poi sviluppato l’insediamento castrense, data l’assoluta mancanza di dati archeologici, sembra comunque sensato ipotizzare che l’originale stanziamento del villaggio non fosse alto-medioevale bensì pre-romanico.
A rinforzo di questa tesi, sopravvive tra gli abitanti di Ripalta la tradizione che, prima della pieve di San Nicolò, edificata nel XIV secolo su una precedente costruzione romanica, vi fosse un’altra chiesa, costruita in epoca remota, attorno alla quale si sono svolti eventi "miracolosi".
Stiamo parlando della chiesa del S.S. Salvatore di Ortara, ubicata proprio lungo la via romea di cui si è parlato prima, a metà strada tra Ripalta e Boccapignone, poco lontano dal bivio che scende verso Memola.
La tradizione parla di un edificio religioso, con annesso ospizio, eretto in epoca antica da alcuni monaci per celebrare l’apparizione mariana avvenuta nella circostante selva di castagni. Un quadro, raffigurante la Madonna con Bambino seduta su un castagno, si trovava proprio all’interno della chiesa. Tale edificio è esistito fino al 1752 quando, durante una memorabile alluvione con conseguente straripamento del Vara, è stato trascinato a valle insieme a tonnellate di terreno a causa delle piogge torrenziali.
Ma non è finita. Tradizioni più recenti narrano altre apparizioni della Madonna, avvenute quasi trent’anni dopo la distruzione del santuario a lei dedicato.
In questo caso, essa è apparsa ad alcuni pastorelli di Padivarma (quali migliori testimoni di una verità soprannaturale?) proprio di fronte alle rovine della chiesa, dove essi stavano pascolando un piccolo gregge.
L’apparizione, che si è ripetuta anche il mercoledì santo del 1779, è stata testimoniata anche in altre circostanze da una coppia di giovani che stavano percorrendo la strada romea verso Ripalta.
Proprio nel 1779, quindi, si decide di ricostruire il santuario e, durante i lavori, la Madonna appare di nuovo ai carpentieri in pausa per il pranzo(2).
Attualmente, l’edificio non esiste più. Non si sa in che circostanze sia stato distrutto, anche se la memoria orale accenna appena ad una nuova alluvione in tempi imprecisati.
Tutta questa storia è molto importante per ricostruire, tramite la sola fonte orale, quello che potrebbe essere stato il santuario nell’antichità e, di conseguenza ipotizzare un’origine pre-romanica del borgo di Ripalta. Ora spiegheremo come.
Innanzitutto, la tradizione parla di una chiesa molto antica, edificata in un’epoca remota di cui non si sa nulla e questo primo dato è già rilevante di per sé poiché colloca il riconoscimento della sacralità del luogo in un tempo talmente lontano da risultare sconosciuto anche alla leggenda.
È possibile ipotizzare, anche se si tratta solo di una congettura, che questo tempo sia almeno pre-medioevale.
Inoltre, viene detto che i monaci costruirono l’edificio in onore di una Madonna del Castagno che doveva essere apparsa ripetutamente in quel luogo, fino a convincerli che la volontà della Vergine era di essere venerata proprio in quel punto preciso.
Del resto, non era una novità. Diverse leggende di fondazione di santuari mariani riportano storie molto simili: la Madonna appare due, tre volte sempre nello stesso luogo e la gente capisce che deve costruire una chiesa in suo onore.
Non solo, il quadro rappresentante la Vergine che viene collocato (o ritrovato) in situ è ricorrente nelle leggende di apparizioni. Fulcro, ad esempio, della storia del santuario di Roverano, presso L’Ago, di cui parleremo in seguito.
In più, la Madonna è legata, sia nel dipinto che nelle apparizioni al castagno. Proprio quest’ultima constatazione ci permette di interpretare le altre.
Il castagno, infatti, come anche altri alberi, veniva ritenuto sacro dalle popolazioni liguri preistoriche(3), oltre che dai Celti che, come noto, avevano un rapporto particolare con i Liguri, mai ben chiarito, di parallelismo o di influenza culturale. Probabilmente entrambi.
Fatto sta che Cassana, antico borgo distante meno di un chilometro da Ripalta, deve, con tutta probabilità, il suo nome proprio al termine celtico cassanus, che significa quercia, indicando, insieme a svariate incisioni e bassorilievi a tema diffusi in tutta la Val di Vara, l’estrema importanza dell’albero nella simbologia antica.
È più che possibile, quindi, che nei boschi, vicino ad un importante percorso dell’antichità, si trovasse un castagno (o una selva di castagni) ritenuto sacro in epoca preistorica ed è del tutto plausibile che tale luogo sia stato sconsacrato senza successo in epoca di cristianizzazione e che si sia, quindi, deciso di "convertirlo" in luogo di fede cristiana.
Non sarebbe una novità neanche questa.
In Liguria, come in molti altri luoghi, il cristianesimo fu spietato con i culti cosiddetti pagani. Tentò di estirparli, li sopresse col sangue, spezzò gli idoli. Ma questo non scoraggiò le genti liguri.
Si decise, allora, di giustificare i pellegrinaggi e le ritualità pagane legate agli elementi della natura semplicemente attribuendo a questi ultimi dei connotati cristiani.
La "fonte megalitica" diventò, così, la fonte della Madonna, la "salita rituale del monte" si tramutò in pellegrinaggio al santuario - edificato nel frattempo sui resti di un cromlech - e così via. Questo permetteva ai missionari di cristianizzare i pagani senza tramutare le loro abitudini, verosimilmente molto dure a morire.
Senza dirottare i pellegrinaggi e senza dover pubblicizzare nuovi luoghi di culto, i siti religiosi dei pagani venivano semplicemente riciclati.
Perché non supporre quindi, che anche il castagno sacro dei boschi di Ripalta sia stato convertito in castagno della Madonna?
Le apparizioni mariane erano spesso simbolo di una conversione e le storie in tal senso venivano diffuse ad hoc proprio a questo scopo.
Ma non basta, perché accanto al castagno del miracolo è stata edificata anche la chiesa, il che conferma che questo luogo doveva essere tanto importante per la spiritualità delle tribù liguri del territorio da non poter essere semplicemente convertito ma, addirittura, colonizzato come sacrario cristiano.
E qui entra in gioco la toponomastica.
La chiesa è intitolata al Salvatore di Ortara, tuttavia, questo Ortara sembra non essere attribuito a nessuna località specifica in zona, né in tutta la Liguria. Il toponimo sembra sconosciuto fino ad arrivare al Lazio, dove il famoso monte Ortara domina la provincia di Frosinone o, seppur troncato, fino al Lago d’Orta, nel territorio un tempo occupato dai Liguri Levi e Marici. Sembrerebbe una buona pista, quest’ultima, invece, facendo ricerche più approfondite, si evince che il toponimo Orta viene attribuito al lago solo a partire dal XVII secolo.
Questo Ortara può anche far pensare ad una derivazione dal latino hortus, col significato di giardino oppure orto ma, intorno alla chiesa, non c’erano orti o prati: solo il bosco.
L’ultima ipotesi, la più suggestiva, è che Ortara sia una metatesi linguistica di Ostara, celebre festa pagana di primavera legata alla dea nordica Eostre, ben conosciuta dai Norreni ma anche dai Celti che, come ricordiamo, avevano una certa influenza culturale sul territorio ligure.
La celebrazione di Ostara è anch’essa stata inglobata dal cristianesimo come altre festività pagane ed attualmente è la nostra Pasqua. In tedesco, ancor oggi, il termine utilizzato per indicare la Pasqua è Öster ed in inglese Easter. 
Lo stesso coniglio pasquale non è che una variante della lepre, animale sacro proprio alla dea. La lepre, in quasi tutte le culture del mondo, è associata alla luna, alla fertilità e alla rinascita, per cui la divinità Eostre, che in alcune raffigurazioni è rappresentata con testa di lepre(4), è assimilabile per molti versi alla Diana/Artemide e alla Venere/Afrodite dei romani e greci e alla Ishtar/Innanna dei babilonesi.
La stessa pronuncia del nome Ishtar, infatti, non diverge poi tanto da Easter.
Ebbene, Eostre è anche una divinità legata al culto arboreo. Infatti, la festività a lei dedicata è l’equinozio di primavera, anche chiamato Festa degli Alberi, in cui si celebra il ritorno della natura dal sopore invernale e, proprio in questa occasione, certe tribù pagane usavano scambiarsi simboliche uova colorate sotto l’albero sacro del villaggio(5).
Perché allora non ipotizzare un albero sacro ad Eostre, venerato e amato dalla popolazione locale, che i missionari hanno cristianizzato senza difficoltà, semplicemente scambiando il nome della dea pagana con quello della Vergine?
Le analogie tra i due culti sembrano evidenti.
Il nome "Ostara", rimasto nella dizione ligure/italica, deriverebbe direttamente dalla denominazione celta "Ostur Monath", per indicare proprio l’equinozio di primavera. Se il bosco in questione aveva un valore di rilievo nella celebrazione di Ostara, si può immaginare facilmente come il nome stesso della festività si sia tramutato, poco a poco, in toponimo. E, altrettanto facilmente si può immaginare come, quasi duemila anni dopo, i monaci abbiano intitolato la chiesa appena ricostruita al Salvatore di Ortara, nome forse già distorto ma, per loro, semplice toponimo locale.
Non è neppure da escludere, inoltre, che la chiesa sia stata edificata sopra un precedente tempio dedicato alla dea, demolito e riutilizzato come materiale da costruzione, come era costume dei missionari dell’epoca. Azione, peraltro, già compiuta in numerosi siti limitrofi: monte Dragnone, anch’esso legato ad un culto arboreo, per fare un esempio.
L’aura di sacralità che aleggia intorno al sito deve essere, quindi, molto antica e resa assai potente dalla sedimentazione religiosa di più ere, tanto che ancora oggi gli anziani ripaltesi ne parlano con grande rispetto e ammirazione. Sopravvive ancora, tra costoro, la convinzione che la vasca battesimale della parrocchiale di San Nicolò provenga proprio dalla distrutta chiesa di Ortara e che ci sia stata, in merito, una disputa con gli abitanti del vicino borgo di Cassana, siccome anche loro rivendicavano la proprietà delle suppellettili sacre. Si sarebbe infine deciso, per placare gli animi, di lasciar decidere direttamente alla Provvidenza: la vasca sarebbe stata caricata sopra un carro trainato da due buoi e, dopo averli spronati, sarebbero stati loro a scegliere la via da percorrere, decidendo chi si sarebbe aggiudicato l’ambito oggetto, ed essi scelsero la via di Ripalta. La cosa curiosa è che anche a Cassana narrano la medesima storia ma la risolvono a loro favore, sostenendo che la famosa vasca battesimale di Ortara sia quella che si trova nella loro chiesa, la parrocchiale di San Michele. Come nota giustamente il Formentini(7), questa disputa farebbe pensare che il territorio appartenuto un tempo alla chiesa di Ortara potrebbe aver compreso, oltre Ripalta e Boccapignone, anche Cassana, controllando così una porzione notevole della viabilità, sia in direzione EO che NS.
Da questo punto di vista, sarebbe possibile riconsiderare completamente la protostoria di Ripalta e delle sue montagne, anche in relazione ai siti analoghi poco distanti. Può essere, infatti, che il culto del castagno di Ripalta interessasse solo una piccola comunità chiusa o, invece - e più verosimilmente, data la posizione su una arteria viaria importante -, fosse meta di pellegrinaggio anche per le genti delle valli vicine.
Attualmente, come si è detto, la chiesa non esiste più e non è chiara neppure l’esatta ubicazione, perduta anche nella memoria degli abitanti, data la radicale trasformazione dell’ambiente nell’ultimo secolo.
Il sentiero, però, esiste ancora, allargato dai boscaioli per consentire il passaggio di fuoristrada e trattori. Le condizioni del terreno, tuttavia, hanno scoraggiato i tentativi di scavo archeologico ipotizzati alcuni anni fa e, per ora, tutto giace indisturbato da qualche parte, sotto il suolo.

NOTE:
(1) AA.VV., Gli scavi nel castello di Celasco - relazione preliminare sulle campagne 1996/1999, Firenze, Edizioni all’Insegna del Giglio, 2003
(2) F. M. Bussetti, G. Costa Maura, I Santuari della Liguria, Genova, AGIS, 1980; M. Gamba, Apparizioni Mariane, Udine, Edizioni Segno, 1999
(3) I. Pucci, Culti naturalistici della Liguria Antica, La Spezia, Luna Editore, 1997
(4) Una leggenda celta narra di come, un giorno, la dea Eostre abbia tramutato un uccello in lepre e, per ripagargli la perdita delle ali, gli abbia donato una grande velocità. La lepre, però, una volta all’anno, in primavera, ha il diritto di portare ancora le uova come quando era un volatile. (Riccardo Taraglio, Il vischio e la quercia, Torino, Edizioni l’Età dell’Acquario, 2001)
(5) J. Frazer, Il ramo d’oro, Roma, Newton & Compton, 2003; A. Romanazzi, La Dea Madre e il culto Betilico, Bari, Levante Editore, 2003
(6) Ubaldo Formentini, Guida storica etnografica della Val di Vara, Provincia di La Spezia, 1977


Il borgo di Ripalta. Sullo sfondo, il borgo di L'Ago e la vetta del Bracco



Considerazioni
Per il nostro viaggio alla riscoperta degli antichi luoghi di culto liguri, si è scelto come punto di partenza il borgo di Ripalta, minuscola frazione isolata e pressochè sconosciuta. Tale scelta è stata dettata dalla volontà di fare intendere al lettore che il nostro passato non è sempre lontano, nelle scoperte più importanti e famose ma anche, soprattutto, circostante a noi, proprio dietro l’angolo, composto da tante micro-scoperte.
La storia locale non deve essere discriminata in quanto anch’essa ha apportato, negli ultimi anni, ottimi e importanti contributi alla storia globale.Le varie storie locali si intrecciano fino a formare una complessa tela che ci dà una visione d’insieme e ci permette, così, di inserirla nel quadro storico generale.
Per quel che riguarda la storia della Madonna del Castagno di Ortara, lo schema narrativo della leggenda è quello classico, che incontreremo sovente in questa ricerca e che costituisce quasi un topos, per quel che riguarda l’area tosco-ligure. In molti luoghi, infatti, ricorre la narrazione della fondazione di una chiesa dopo il ritrovamento, in un certo sito, spesso al di fuori del centro abitato, nei boschi o nelle campagne, di un oggetto raffigurante la Madonna (dipinto, scultura o suppellettile sacra). Spesso di racconta che tale oggetto, dopo essere stato rimosso dal luogo di rinvenimento e trasferito nella sede di culto della comunità (chiesa paesana, oratorio o canonica), scompaia e venga in seguito ritrovato nel luogo originario. Questo fatto viene interpretato dai paesani come il soprannaturale invito della Vergine ad erigere un santuario in suo onore, cosa che viene presto fatta.
Due sono le interpretazioni che possiamo dare a tali leggende. La prima, più semplicistica (ma non per questo meno verosimile), è che esse siano state inventate, a partire da un comune modello narrativo, per spiegare l’esistenza di un santuario, essendosi quasi totalmente perduta la motivazione storica di sovrapposizione ad un precedente sito sacro pagano; alternativamente, invece, è possibile ipotizzare che qualcosa sia stato veramente rinvenuto nel sito della presunta apparizione: statue-stele, betili, pietre scolpite o tombe a cassetta (un tempo credute oggetti di culto pagano), che avrebbero indotto la curia locale a costruirvi sopra una chiesa per cristianizzare il sito. Questa ipotesi sottintende che le leggende siano quindi state inventate ad hoc, per giustificare agli occhi dei villici l’erezione del sacrario.
In realtà è probabile che entrambe le ipotesi siano in qualche modo verosimili e che, a seconda dei casi, si sia verificato l’uno o l’altro comportamento.