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giovedì 2 dicembre 2010

Antichi luoghi di culto in Liguria 5


Cassana: castellaro, chiesa e grotte

Il territorio di Cassana, su cui sono sparse otto frazioni, prende il nome dal torrente omonimo, che sgorga dal monte Bardellone, pochi metri sotto il passo e si snoda in una valle profonda e verdeggiante, fino alla confluenza con il Rio Redarena che poi si getta nel Vara.
Sulla sommità di un monte, a metà dell’antico percorso Levanto/Borghetto Vara di cui abbiamo già parlato, sorge il nucleo principale del paese, costituito dalle frazioni Corneto, Il Prato, La Via e Chiesa. Proprio quest’ultima frazione suscita il nostro interesse poiché, se le altre località si sono sviluppate solo a partire dal X secolo, Chiesa ha un’origine più antica, collocabile nell’ultima fase dell’età romanica (III/V secolo).
L’attuale chiesa parrocchiale di San Michele, che dà il nome alla località, infatti, è stata costruita nel XVI secolo sulla base di un preesistente edifico difensivo romanico. Quello che oggi è il campanile era, una volta, la torre a pianta quadrangolare della fortificazione ed i possenti muri perimetrali della chiesa erano antiche muraglie a probabile difesa di un insediamento militare relativamente stabile.
In effetti, la posizione della fortezza risulta rilevante ai fini di un controllo militare del territorio e della rete viaria, poiché si trova in posizione dominante rispetto alla strada principale dal mare ai monti di cui sopra, oltre alle mulattiere delle vallate circostanti, compresa la direttrice EO, dal golfo spezzino al genovesato.
Tuttavia, il castrum romanico non è il primo insediamento nella zona. A nord-ovest del borgo di Corneto, infatti, si trova il monte Castellaro, lungo una delle mulattiere che portano alla Foce del Bardellone. Il toponimo "Castellaro", come abbiamo già notato, è quasi sempre sinonimo di un insediamento fortilizio preistorico, i cui resti sono stati effettivamente rinvenuti su questa sommità.
Si tratta di imponenti muri a secco disposti a terrazze, simili a quelli ritrovati in molti altri siti della stessa tipologia. Tale castellaro preistorico controllava, molto probabilmente, l’antica mulattiera vicino alla quale sorge, come avrebbe fatto il forte romanico in tempi successivi.
L’insediamento umano in queste valli è sicuramente molto antico e, nell’intricato sistema di cavità carsiche che caratterizza la vallata, alcuni studiosi hanno ipotizzato, per ora senza riscontri, una frequentazione dell’homo neanderthalensis.
Proprio alla stretta imboccatura di una di queste cavità, chiamata "Resciadora" (sfiatatoio), posta sul ciglio della strada che porta a Pignone, potrebbe essere legato un antico culto naturalistico.
Questo anomalo fenomeno carsico si presenta, infatti, come un angusto tunnel con due aperture: quella posta più in alto, nel sottobosco, è un pericoloso inghiottitoio di circa un metro di diametro, mentre quella posta a livello della strada è una singolare fenditura rocciosa da cui, secondo la leggenda, in estate soffia un vento freddo e, in inverno, sgorga un’acqua limpida e gelata. Il vento freddo proverrebbe addirittura dal mare e, infilandosi in un’apertura costiera, sarebbe incanalato dalle cavità carsiche fino a sfociare a Cassana.
Effettivamente, con un rapido sopralluogo, ci si accorge di come la leggenda sia, ancora una volta, vicina alla realtà. L’aria che soffia incessante dallo sfiatatoio, infatti, è decisamente fredda anche in pieno agosto e il rivolo di acqua pura che ne sgorga sembra destinato ad aumentare la portata, nelle stagioni piovose. La Resciadora, inoltre, fa parte del complesso sotterraneo della Caverna Ossifera, cavità naturale dove nel 1824 il professor Paolo Savi di Pisa rinvenne grande quantità di ossa di varie specie animali.
Su questo sito aleggiano diverse leggende che lo vedono dimora di fate malvagie e diavoli, luogo di quelle diaboliche processioni di lumi che sono tanto frequenti nella tradizione orale ligure.
In effetti, è possibile ipotizzare una frequentazione sacra del sito proprio partendo da queste piccole leggende.
Fate e diavoli, infatti, in quanto esseri dell’altro mondo, sono in stretto contatto con il regno dei morti e la loro funzione, nella favolistica tradizionale, è proprio quella di intermediari tra i due mondi. Inoltre, la processione di lumi di cui si parlava prima è una manifestazione che i morti, appunto, mettono in atto nel regno dei vivi. In tutte le storie che riportano queste processioni, chiamate anche "menada", esse sono sempre in contatto stretto con l’aldilà. I partecipanti a questa ritualità blasfema sono spesso descritti come fantasmi, morti, ossa di morti, fiammelle (cioè fuochi fatui) o streghi. Gli streghi, nella cultura popolare europea, sono sicuramente il rimasuglio di un immaginario antico, che rimanda a personaggi dotati di poteri "magici" di tipo sciamanico e, per questo, legati anch’essi al mondo dei morti(1).
Il fatto che le leggende fiorite intorno alla Resciadora, quindi, siano imperniate tutte su figure mitiche che da sempre hanno a che fare con il mondo dei morti, non può che suggerirci l’ipotesi che questo luogo così suggestivo, che unisce due leitmotive della sacralità preistorica, la grotta e la sorgente, avesse in qualche modo a che fare con le pratiche funebri. La grotta, infatti, è il significativo luogo di sepoltura preferito dalle antiche genti liguri, come ci dimostrano, ad esempio, i siti sepolcrali dei Balzi Rossi (IM), Arene Candide (SV), Equi Terme (MS) ecc.
Questo potrebbe giustificare anche l’evidente intento esortativo delle leggende a non avvicinarsi troppo ad un luogo popolato di essere diabolici e soprannaturali, come memoria inconscia di un sito forse importante per la religiosità pagana, considerato "empio" e, quindi, interdetto ai cristiani.
Si tratta solo di un’ipotesi, certo, ma forse non tanto lontana dalla realtà. Gli indizi ci sono.
Inoltre, non dimentichiamo che il nome "Cassana", come già detto, deriva probabilmente dal termine celtico cassanus, che indicava la quercia, albero sacro per i celto/liguri e, forse, proprio in questa vallata era situata una selva consacrata, per cui il termine generico sarebbe diventato, poco a poco, toponimo.

Note:
(1) Carlo Ginzburg, Storia notturna, Torino, Einaudi, 1995


Sentiero Bardellone-Cassana: passerella medievale

Cassana, interno della grotta Resciadora


domenica 28 novembre 2010

Antichi luoghi di culto in Liguria 4

Il monte Bardellone, le sue valli
ed i suoi antichi itinerari
 
Che sul monte Bardellone ci sia
Non è ben chiaro cosa: una sensazione, un
Certo è che, se ci si capita in un giorno umido, con le cortecce degli alberi nere d
Poi, tutto ad un tratto, finisce. Si esce dalla nuvola e si ritorna nella dimensione terrena.
Anche ad andarci in una giornata luminosa di sole, l
Non è difficile immaginare, quindi, perché il Bardellone sia stato nella preistoria, nella storia e sia fino ai giorni nostri un luogo colmo di fascino e di mistero.
Il territorio indicato con il toponimo “Bardellone” - che deriverebbe dalla radice celto/ligure bar, con il significato di “luogo fortificato” - è, in realtà, molto vasto, siccome comprende l’intero massiccio, dalla forma di acrocoro, e le valli formate dal primo tratto dei torrenti che da esso nascono.
È ormai opinione comune di molti studiosi che il monte Bardellone sia stato la “culla” della civiltà ligure per quanto concerne il territorio della media Val di Vara e di un ampio tratto di costa, tra Bonassola e Monterosso.
La sua posizione topografica è fondamentale poiché, disposto ad anfiteatro, concavo verso il mare, rappresenta il punto di partenza naturale per risalire dalla baia di Levanto verso l’entroterra, fa da spartiacque tra la costa e le valli interne e permette, grazie al suo ampio crinale, la comoda connessione di sentieri provenienti dalle valli laterali alla strada N-S principale.
Per questi motivi, dalla preistoria fino al primo dopoguerra, il Bardellone ha conosciuto una frequentazione antropica assidua, seppur senza continuità temporale.
Il primo insediamento risale, probabilmente, all’Età del Bronzo e, dai pochi reperti rinvenuti, doveva trattarsi prevalentemente di costruzioni funebri, quindi è possibile ipotizzare un primo utilizzo della cima come necropoli o comunque legato alla morte o al culto dei morti.
Il primo reperto ufficialmente registrato, infatti, fu, nel 1921 in località Campodonia, una splendida tomba a cassetta litica di forma grosso modo cubica, fatta di sei lastre di pietra scistosa e contenente due urne cinerarie con ciotole di copertura, un’altra ciotola e una piccola olla, tutto in ceramica, oltre a una fibula, una spirale e una daga in bronzo.
La tomba, però, non sarebbe l’unica rinvenuta in zona. Varie scoperte non ufficializzate sono, infatti, ricordate nella memoria orale, soprattutto nella zona circostante la frazione di Albereto.
Albereto è stato un importante centro antropico dell’antichità, espanso e commerciale, fino alla sua tragica distruzione da parte del re longobardo Rotari, nel 643. Costui, seguito dal suo feroce esercito, percorse l’intera Liguria e, attraverso l’antica strada di mezza costa delle Cinque Terre, saccheggiò e rase al suolo ogni borgo sul suo cammino fino a Genova, che conquistò in breve tempo.
Forse Albereto era davvero uno stanziamento preistorico con annessa necropoli, collegabile forse con l’insediamento sommitale del Castellaro del Bardellone. I reperti trovati sulla cima del monte, a circa 650 metri s.l.m., sono infatti riconducibili ad un’importante fortificazione preistorica.
Nella Val Marveia (toponimo impossibile da non associare subito alla Vallée des Merveilles del Colle di Tenda), a un paio di chilometri verso est rispetto alla cima del Bardellone, sono state ritrovate incisioni rupestri e la memoria orale vuole proprio questa valle grande centro umano dell’antichità. Le leggende, infatti, parlano di un insediamento abitativo con relativa necropoli nei monti di fronte al borgo di Casale, al di là del torrente omonimo, proprio dove si trova la Val Marveia.
Contando che la densità dei nuclei abitativi preistorici in zona ligure non era elevata, c’è una buona probabilità che la tradizione orale e i ritrovamenti archeologici coincidano collocando, quindi, sulla cima del Bardellone, un’estesa installazione umana abitativa (Albereto), difensiva (Castellaro) e sepolcrale (Val Marveia).
Questa ipotesi è verosimile soprattutto se si pensa alla topografia della zona: la sommità di un monte che domina il mare e l’entroterra, attraverso cui passa un importante itinerario (forse già mercantile), ricco di sorgenti, ottimo come pascolo per il bestiame, con la presenza di cavità carsiche in gran numero (riparo e/o sepolcro). Sembrerebbe un luogo ideale per uno stanziamento ed i ruderi del castellaro e di Albereto ce lo dimostrano.
Quello che ancora manca alla dimostrazione pratica è la necropoli. La memoria orale ne parla e non ha motivo di mentire.
La leggenda narra di una buca scoperta da alcuni boscaioli mentre sradicavano castagni in Val Marveia, che si rivelò essere un labirinto sotterraneo pieno “tombe e strani oggetti”. La storia, probabilmente non molto antica, non presenta particolari aloni di mistero. Sembra piuttosto schietta ed è facile, per noi, immaginare questi boscaioli che, faccia a faccia con sepolture preistoriche, definiscano gli orpelli funebri “strani oggetti”. Pensiamo alle sepolture delle Arene Candide (SV): se i medesimi boscaioli avessero visto, nel buio di un sotterraneo, inquieti e spaventati, mandibole di tasso, minuscole conchiglie forate, strani vasi decorati, corna di cervo levigate, lame di pietra scheggiata e ossa sparse color porpora, cosa avrebbero pensato? Come avrebbero potuto definirle? “Strani oggetti” non è una descrizione molto scientifica ma rende l’idea.
Probabilmente, la leggenda non è tanto fantasiosa. Probabilmente, i fatti sono descritti più o meno come sono accaduti.
Localizzare la scoperta, però, è impossibile. I boscaioli, infatti, si dice presi dalla paura, ostruirono nuovamente l’accesso al sotterraneo e si impegnarono a non rivelarlo a nessuno.
Questo forse è l’esiguo nucleo favolistico del racconto, con evidente intento di scoraggiare eventuali curiosi che volessero mettersi sulle tracce della necropoli. Come nota giustamente il Cavallo, gli abitanti non amano farsi tanta pubblicità.
Fatto sta che il Bardellone, molti secoli dopo, nell’alto medioevo, ha ospitato un castello difensivo e un piccolo borgo: si tratta di Celasco.
Ovviamente vi è una discontinuità evidente tra le due frequentazioni del sito che forse, però, può essere colmata considerando l’abitato di Albereto.
Lo stanziamento preistorico potrebbe essere stato abbandonato verosimilmente alla fine dell’Età del Ferro, mentre la prima frequentazione del castrum di Celasco risale all’XI secolo.
In questa lacuna di oltre un millennio, tuttavia, la presenza umana sul monte è stata sempre forte. Il borgo di Albereto, infatti, contava molte famiglie con struttura sociale agricola, che coltivavano i fertili campi intorno alla sommità del Bardellone, sfruttando spianate artificiali poste in opera dagli abitatori primitivi del luogo.
Anche dopo la devastazione longobarda dell’abitato, i pochi superstiti - che poi fondarono Monterosso - continuarono a frequentare quei luoghi per sfruttarne il terreno, dando all‘attività umana sul monte un certo continuum. Ancora oggi, i campi vengono coltivati da alcuni monterossini, sono sorte numerose casette di pietra e il villaggio di Albereto è andato via via ripopolandosi, anche se non si può parlare di borgo vero e proprio, mancando un agglomerato urbano significativo. Non c’è neanche mai stata una chiesa, apparentemente.
Qualche volta, però, l’apparenza inganna. La tradizione vuole, infatti, che nei pressi di Albereto, un tempo, ci fosse una grande chiesa. Tale edificio avrebbe sostituito, in epoca cristiana, un tempio pagano molto importante e avrebbe ospitato tesori e nobili sepolture. La “Valle della Chiesa” oggi è un roveto arduo e impraticabile per cui non si sono mai fatte adeguate ricerche, eppure, da qualche parte, nascoste dalle spine, le rovine di un tempio antico attendono di essere scoperte.
Certo, non si può basare una ricerca solo su questa scarna fonte orale però, data la toponomastica del luogo e la frequenza di santuari simili in zona, potrebbe sembrare sensato provare a raccogliere più informazioni.
Il Bardellone domina un ampio circondario di monti con relativi santuari ed è, come abbiamo già detto, la strozzatura d’imbuto dei molti itinerari che, dai borghi dell’entroterra, portano sul mare. È possibile, quindi, che la chiesa di cui si narra così pomposamente ad Albereto fosse il risultato della solita conversione cristiana di un santuario pagano che, se è credibile la grande influenza religiosa celtica sugli antichi Liguri, potrebbe essere stato il tempio centrale (forse il famoso mezu nemunuius di cui si è ipotizzato) della zona, da cui si controllava il potere religioso degli altri sacrari minori locali.
Per ora la memoria orale non sembra poterci più aiutare e, comunque, le prove archeologiche sono inaccessibili, come la valle che le custodisce.
qualcosa, nessuno può metterlo in dubbio. intuizione, unenergia. Forse laria è diversa.acqua, facilmente qualche nuvola bassa si arenerà alle cime, creando una visione suggestiva dal sapore magico. Se capita, poi, di percorrere la stretta strada che serpeggia lungo il crinale proprio durante la sosta di una nube, ci si ritrova improvvisamente immersi in uno strano sogno: intorno diventa tutto in bianco e nero e guardando giù, tra i pini morti, là dove dovrebbe esserci il mare, cè solo una voragine lattiginosa da cui filtra appena la luce del sole. La visibilità, ridotta a venti metri, nasconde le curve della strada e, man mano che si prosegue, sembrerà di essere immersi in quella sostanza eterea dal lieve odore dacqua. Non cè nessuno. Un silenzio naturale. Ci si guarda intorno e ci si chiede: Sono ancora nel mondo dei vivi? effetto è sempre stupefacente. Guardando le vette, il verde incredibilmente rigoglioso emette un fiato di bosco che purifica le idee mentre, sopra, il cielo intenso fa spaziare limmaginazione. Guardando giù, invece, i boschi a picco, le vallate incise dai copiosi torrenti, i villaggi sparsi e il bagliore argenteo del mare ritemprano lo sguardo, che ne rimane incantato.